mercoledì 24 agosto 2011

Tutto iniziò quel pomeriggio chiaro di luglio. Eravamo in pasticceria in perenne fame chimica a ingolfarci di cioccolata con la panna e bignè alla crema quando squillò il telefono con fare trionfante al ritmo di U2. al terzo " Sunday bloody sunday " risposi e capii dalla prima sillaba che era un mio caro amico di Padova soprannominato Tari. Tari era un vecchio amico che frequentavo molto al tempo delle superiori, andavo spesso a casa sua a fingere di fare i compiti ed era un vero spasso intrattenersi a cena visto che mi ero leggermente innamorato della sua simpaticissima madre anche se era quasi dichiarato che per le mie azioni del cuore preferissi gli uomini pelosi come scimpanzè. " Nel frattempo anche il mio "compagno di pasticcini " Claudio si era ridestato dalla sua meditazione al cacao e compiaciuto e un po stranito osservava la nostra conversazione, presagendo o forse sperando in un cambiamento del programma per l'ovvietà del pomeriggio. "Tutto bene vecchio mio" tuonò la sua baritonante voce con sorpresa nel mio orecchio, dico sorpresa perchè credevo che Tari fosse ancora in viaggio nello sconfinato territorio messicano in cerca di avventure sciamaniche alla Castaneda. Da autentico psiconauta gironzolante qual'era lo avevamo soprannominato "il vagabondo del dharma delle sostanze psichedeliche" per le sue ricerche mistiche ed affascinanti in altre terre, culture lontane e soprattutto in altre flore psicoattive. Difatti mi spiegò che era appena tornato e moriva dalla voglia di condividere con noi la sua entusiasmante esperienza di viaggio e chiaramente tutte le cosette molto interessanti che era riuscito a nascondersi addosso o dentro. Era più bravo di Lupin terzo ad eludere i controlli negli aeroporti ed a fare fessi gli sbirri di mezzo mondo. Nella fase finale della telefonata mi parlò che aveva ancora alcuni giorni liberi e mi propose di accompagnarlo in un piccolo viaggio. Ci mettemmo d'accordo di vederci nella serata a Padova nel suo appartamento occupato per discuterne & fare baldoria. Quando misi giù il telefono io e Claudio eravamo veramente felici che il treno del pomeriggio fosse deragliato in qualcosa di inaspettato, avevamo con noi tutto il necessario, la nostra riaccesa follia e lo spazzolino di viaggio nella tasca interna del giubbotto. Prendemmo il mio ferro vecchio quasi rosso e nello stesso tempo che inforcavo la strada per Padova il mio amico sceglieva saggiamente la cassetta giusta ovvero la colonna sonora per quel viaggio di 60 chilometri. Scelse un vecchio album dei mitici Sonic Youth che si intonava perfettamente con le grandi strade polverose di luglio, lo smerigliare del sole e la promessa di una nuova avventura ancora da svelare. Non sapevamo cosa ci attendeva ma avremmo fatto in modo di onorare anche questa serata, sapevamo da tempo immemore che la celebrazione in tutte le sue forme già di per se bastava per dare un senso a questa vita. Il ciondolare ritmato di uno Shiva danzante appeso nello specchietto retrovisore mi ricordava sempre più questo sconosciuto vertice di consapevolezza umana.